Cenni storici
(Fonte - Cfr: Antonio Infante, Valle dell'Angelo e la grotta, ed. Centro di cultura e studi storici Alburnus, 1995)
Origini
In origine Valle dell'Angelo era casale di Laurino, ed a quest'ultimo è legata la sua storia. Era, infatti, denominato nella Regia Camera con il nome di Laurino Le Chiaine Soprano o Laurino Soprano. Alcuni autori ritengono che sia stato edificato come luogo di riparo durante le transumanze, tanto che vi sono due siti nell'abitato, l'uno chiamato Zaccaro, nella parte inferiore dell'abitato, e l'altro Porcile.
L'origine del borgo si fa comunque risalire intorno al X secolo d.C., con l'arrivo dei monaci basiliani. Questi provenivano dalla Siria e dall'Epiro per sfuggire alla persecuzione iconoclasta. Proprio ai monaci italo-greci si deve l'opera di risanamento attuata a Valle dell'Angelo, da cui l'economia trasse notevole benefici, soprattutto in seguito alla devastante guerra greco-gotica del VI secolo.
Quando gli arabi occuparono la Sicila nel sec.IX, molti si rifugiarono nella Calabria, nelle Puglie, in Lucania e in queste terre. Tale fatto è suffragato dalla presenza di due importanti cenobi, fondati da questi monaci, aderenti alla regola di San Basilio (basiliani), l'uno denominato di Sant'Arcangelo di Campora e l'altro di San Vito di Fogna (Villa Littorio), che erano alle dipendenze della grande Badia Basiliana di Santa Maria di Rofrano, che a sua volta era Gancia del monastero di Grottaferrata.
Intorno ai conventi fondati dai basiliani si raccolsero pastori e gente di luoghi vicini per dissodare le terre, coperte da secolari impenetrabili boschi, adattandole a coltivazioni di viti, ulivi, leguminose ed altro. In origine questa gente viveva in capanne di legno, poi in piccoli vani di pietra, coperti di terra battuta, e, quindi, in altre abitazioni più grandi, coperte di tegole di creta cotta, sorrette da rigide travi di legno.
Feudalesimo
All’istituzione del feudalesimo, decretato dai Longobardi tra il 592 e il 1075, non si hanno molte notizie su Laurino e i suoi casali; si sa solo che Valle dell’Angelo dipese da Laurino fino all’anno dell’eversione della feudalità (1806).
Questo casale, già nel 1273 con Laurino, fu concesso in dote da Enrico di Valdemonte, vicario in Toscana, alla figlia, che sposò un Sanseverino.
Nel 1345 da Giacomo Sanseverino, per successione, passò ad Americo; e nel 1417 Giovanna II confermò a Tommasello Sanseverino il villaggio. (...).
Dopo alterne vicende feudali, il casale fu acquistato da Roberto Sanseverino, Principe di Salerno, il quale nel 1508 lo intestò con la giurisdizione delle cause civili a Giovanni Scatterico di Laurino, suo uditore. (...).
Intanto, nel 1551 per fellonia del Principe Ferrante, Laurino e casali passarono alla Regia Corte, e nel 1552 (o nel 1553) a Fabio Carafa per la somma di undicimila e trecento ducati. Dopo un decennio (1563), il feudo fu acquistato da Giovanni Carafa Sanseverino, dalle mani del Reggente della Sommaria, Francesco Revertera.
Questo nuovo Signore, il 9 agosto del 1591, acquistò il titolo di duca su Valle dell’Angelo, Piaggine e Laurino.
Dal 1363, Valle dell’Angelo passò sotto la giurisdizione della Badia di Cava. Il casale dipendeva da Laurino, dal momento che questo, fondato dai longobardi che edificarono il castello, ritennero opportuno renderlo Stato feudale, data l’importanza acquisita, assoggettandogli sei casali, tra cui Valle dell’Angelo, che non dipese più spiritualmente dalla parrocchia di Santa Maria Maggiore dal 1555.
Nel 1571 i casali di Valle e di Piaggine si staccarono da Laurino anche per i pagamenti fiscali, come afferma Pietro Ebner, per cui rimase attaccato a Laurino soltanto il casale di Fogna, che durante il periodo fascista cambiò il nome in quello attuale di Villa Littorio. Piaggine Inferiore divenne frazione di Laurino fino al 1873, quando cambiò nome e fu elevata a capoluogo di comune.
La presenza dei monaci italo-greci in questa vasta zona è testimoniata anche dal fatto che gli abitanti di Valle dell'Angelo sono denominati "li Piroti", fenomeno che interessò altri centri del Cilento, come San Giovanni a Piro, Perito, Caselle in Pittari.
1799
Fin dai primi anni del ‘700 a Valle dell’Angelo cominciarono a diffondersi ideali di libertà e ansie di rinnovamenti, che, ostacolati da Maria Carolina di Napoli a seguito della condanna a morte della sorella Maria Antonietta di Francia, generarono vivo malcontento, reso ancora più aspro dall’avversione alla borghesia e ai feudatari.
Con l’istituzione della Repubblica Partenopea in alcuni paesi del Cilento fu innalzato l’Albero della Libertà: a Valle dell’Angelo fu innalzato dopo il capodanno del 1799 davanti alla chiesa di San Barbato.
L’entusiasmo generato dagli ideali di libertà presto andò scemando, quando, cioè, i repubblicani cominciarono a compiere atti di violenza inaudita, che degenerarono nell’anarchia.
A febbraio i realisti, recandosi nei paesi del Cilento, spiantarono gli Alberi della Libertà e provocarono danni e lutti. Anche a Valle dell’Angelo, Laurino Felitto e Piaggine si verificarono atti di violenza.
Verso la fine di maggio si apprese che Nicola Gualtieri, detto Pane di grano, stava per giungere nel Cilento con mille uomini, ma la battaglia fu aspra e terminò con la sopraffazione dei repubblicani.
Risorgimento
Dal 1820 al 1860 vi furono annose controversie inerenti alla questione demaniale. Migliaia di tomoli di terreno, fra quelli alienati dal demanio e quelli dei grossi proprietari terrieri, erano entrati in circolazione, dando vita a nuovi proprietari che, d'accordo con i vecchi feudatari, originavano un fronte insormontabile di resistenza ad ogni richiesta dei comuni e, soprattutto, dell'enorme schiera dei contadini.
In definitiva contadini, operai e braccianti rimasero esclusi da ogni assegnazione e, proprio per il desiderio di vedere ristabilita la comunità delle terre, diedero vita ad un "comunismo", i cui aderenti vennero appellati come "comunisti".
Questa vertenza fu agitata da locali sette, nate dalle masse popolari, i cui problemi non venivano risolti dalle istituzioni. In queste sette operarono due cittadini di Valle dell'Angelo, Antonio Pisciottano e Andrea Mastrandrea, i quali avversarono profondamente i Borbone, contro i quali congiurarono duramente. Lo stesso fece Barbato Andreoli, che si affiancò ai Capozzoli di Monteforte. Cooperarono nella programmazione dell'insurrezione cilentana del 1828 e 1848, attuando contratti segreti con i più noti cospiratori del Cilento.
Affiliati alla setta "Fratellanza", difesero le ansie dei contadini, lottando contro la strapotenza dei ricchi proprietari. Per questo furono arrestati e condannati.
Unità d'Italia
Una nuova nota venne a scuotere il mortificante quietismo dei paesi del salernitano dal 1857 al 1859. In ogni dove cominciarono ad organizzarsi centri e comitati rivoluzionari.
L'azione della polizia fece allentare l'attività cospirativa messa in atto dai cospiratori salernitani. Il nome di Garibaldi era sulla bocca di tutti e si aspettava con ansia l'eroe, al cui seguito erano cinque cilentani: Michele Magnoni, Filippo Patella, Francesco Paolo Del Mastro, Leonino Vinciprova e Michele Del Mastro. I patrioti rimasti in provincia preparavano le armi e reclutavano quante più persone fosse possibile.
Con la proclamazione dell'Unità d'Italia, a cui Piaggine Sottane aderisce, si determinò una crisi lunga e profonda. Quando la legge dell'agosto 1861 unificava il debito pubblico del Regno Sardo, che era il doppio di quello di Napoli, questo fu un grosso peso per il sud, dove l'economia era stata fortemente vilipesa dalla caduta dei prezzi agricoli, dalle industrie domestiche e da quelle industriali, che erano l'asse portante dell'economia.
Inoltre, il problema delle terre non era stato ancora risolto: ciò comportò il permanere di grandi latifondi e di conseguenza la classe rurale era sempre più povera. Si venne ad attuare il "protezionismo", ideato dagli industriali nordici, determinando aumenti dei prodotti industriali "protetti".
Le speranze, quindi, andarono deluse, perché a quella unità non corrispondeva l'unità degli italiani. Il popolo vedeva ad un esercito d'occupazione, quello austriaco, sostituirsi un altro esercito, il proprio, che si comportava peggio del precedente.
Il popolo cilentano, dunque, per secoli vittima delle angherie dello straniero, si vide tradito per l'ennesima volta da quegli stessi che esso aveva chiamato per creare la nuova nazione.
Il Brigantaggio
A Valle dell'Angelo il brigantaggio non fu molto diffuso, grazie alla Guardia Nazionale che operava sul posto, attenta a sopprimere qualsiasi forma brigantesca.
In tutto il Cilento il malcontento era più vivo che altrove, per via degli irrisolti problemi di coloni, braccianti e pastori. Tra gli affiliati al gruppo di Giuseppe Tardio, noto brigante di Piaggine Soprane, vi fu Pietro Lucido Rubano, nato a Valle dell'Angelo il 29 maggio 1804, che partecipò alle sommosse organizzate dal brigante, il quale, tuttavia, perse molti dei suoi adepti, mentre altri lo abbandonarono.
Intanto, nel dicembre 1861 tornò dalla Lucania Pietro Rubano di Piaggine Sottane, alfiere della banda, detto Ciaraolo. Nei primi giorni di febbraio del 1862, lo stesso Rubano si recò con altri a Centola per porsi a capo di quella famosa banda che aveva partecipato alla reazione borbonica nell'agosto del 1861; qui fu nominato Capomassa. (...).
Così il Rubano ed il Tardio, e centinaia loro adepti, invasero diversi centri cilentani. L'ultimo saccheggio avvenne a Caselle in Pittari, dove la banda fu sgominata.
Geologia
Le formazioni geologiche che formano il territorio su cui è ubicato il comune di Valle dell’Angelo, come si apprende da Rizzoli – La Rousse nell’Enciclopedia Universale, (Milano, 1967, vol. III, p.343) appartengono al cretaceo medio, periodo compreso tra i 136 e i 65 milioni di anni fa, ossia tra giurassico e paleogene.
La caratteristica essenziale di questo periodo è che il calcare è bianco, poco compatto, sub cristallino, a volte dolomitico e giallognolo.
Ciò determina la presenza di nutrito carsismo, la formazione di numerose conche, piccole valli e con depressione chiusa, con ripide pareti, di forma ovale o circolare, lunga al massimo poche centinaia di metri.
I substrati sono adatti alle colture estensive: pascoli e boschi; infatti, vegetano faggete, l’ontano napoletano, il cerro, l’olmo, l’elce. Le valli, invece, sono adatte ai pascoli e alla produzione cerealicola.
Corsi d'acqua
Sono pochi i fiumi affioranti lungo le pendici dei monti, mentre sono abbondanti e ricche di acqua le sorgenti, che sgorgano ai piedi delle colline: le più abbondanti si trovano nella zona dei Maglianisi e in quella del Medicale.
Senz’altro il corso d’acqua più importante è il fiume Calore, che forma nel territorio di Valle dell’Angelo numerose conche e valloni; il torrente Penniniello e il Teglia versano le loro acque in questo fiume, mentre le acque del vallone Scaloppini si versano nel Fosso di Pruno e, poi, nel Mingardo.
Il fiume Calore nasce dalle pendici del Monte Cervati ed attraversa il territorio di molti comuni del comprensorio. Il suo corso, fino a Roccadaspide, è tortuoso e spettacolare e per questo vi si svolgono anche campionati di canoa. Diventa successivamente più lento e regolare, e, infine, si immette nel fiume Sele, dopo circa 63 Km di percorso.
La vegetazione spondale varia, passando dalla macchia mediterranea nei pressi della foce, con attraversamenti di boschi, fino ai canneti in prossimità dell’immissione nel Sele. In alcuni punti il fiume è ricco di trote che, nelle sue acque fredde e tortuose, trovano un habitat ideale.