È tradizione, rinnovata di anno in anno da tempo immemorabile, che in occasione della festa di San Vito si preparino e si offrano i taralli alle soste che inframezzano la lunga processione dalla cappella nei pressi del torrente Pietra alla Chiesa Madre. La ragione di questo gesto simbolico va probabilmente ricercato in una leggenda che ancora viene ricordata (con varianti a seconda del luogo e delle persone) che vuole San Vito difensore del cibo e del grano. La leggenda racconta che un giorno Dio Padre, particolarmente adirato verso gli uomini, aveva preso a distruggere le messi: si fermò solamente perché San Vito lo pregò, con un benevolo inganno, più o meno in questi termini: “castiga gli uomini se lo ritieni giusto, ma lasciane almeno un poco per i miei cani”. La mano e l’ira del Signore si fermarono, ed il grano, seppur rimaneggiato, fu salvo, e salvo fu non solo il cibo per i cani, ma anche quello degli uomini. Il grano, però, per lo sfogo di Dio, perse il suo primitivo aspetto: i chicchi, che prima erano diffusi lungo tutto il fusto, a partire da terra, ora sarebbero rimasti in una racchiusi solo in una piccola spiga.
I taralli offerti, quindi, vogliono ricordare e ringraziare il santo per l’amorevole intercessione, e simboleggiano il cibo salvato dalla distruzione. Oltre che i taralli, anche un altro simbolo si collega alla leggenda viene: un “terreno” mazzo di bionde spighe di grano messo nella mano destra del santo, a far da contraltare al più “celeste” e classico simbolo posto nella mano sinistra, la palma del martirio. Perché poi i taralli e non un altro pane, è probabilmente spiegabile con la forma che li rende facili da trasportare (ad esempio appesi alla cintola con un laccio) senza essere di impedimento alle mani, e con la loro sostanza che li rende durevoli e scarsamente deteriorabili.