Santuari di Fonte e di Tempalta
Tra i miti più affascinanti e complessi, raccolti o elaborati dalla tradizione letteraria classica, va annoverato quello riguardante l'eroica spedizione compiuta da Giasone secondo il quale l' intrepido nocchiero, organizzata con l'aiuto di Athena la nave Argo, si sarebbe avventurato sui mari con 55 Argonauti alla ricerca del "Vello d'oro".
Narra il mito che durante la loro lunga peregrinazione i naviganti toccarono molte isole e varie terre compiendo ovunque imprese ardimentose e che una di queste avrebbe avuto per teatro le coste salernitane, in prossimità della foce del Sele, ove essi erano definitivamente approdati perché rapiti dal fascino delle Sirene ed ove avrebbero edificato 1' Heraion, il meraviglioso Tempio dedicato ad Hera Argiva, la famosa divinità che ricordava a tutti la dolce e lontana terra natia.
Nel racconto del geografo Strabone (2,51) è ripresa la mitica avventura che segnò l'inizio in terra pestana della colonizzazione greca in forma organizzata.
Sorgeva quel tempio esattamente presso la riva sinistra del Sele, poco lontano dal punto in cui le acque del fiume sfociano in quelle del mare, a breve distanza dello scalo marittimo che diventerà il porto Alburno e a circa 9 chilometri dal luogo ove sarà edificata, poco più tardi, la splendida ed opulenta Poseidonia.
Il luogo sacro non era dedicato ad una qualsiasi delle divinità che popolavano l'Olimpo, ma era affidato alla "grande dea" alla "Signora" alla" Regina degli dei", alla "prima fra le spose di Zeus", alla protettrice delle nozze, della monogami-a, della maternità, della fertilità della natura (la dea della melagrana), alla "Signora delle armi" e soprattutto alla "protettrice dei confini"
Quest' ultimo aspetto della divinità chiaramente indicava che l'edificio sacro, oltre ad essere luogo di culto e punto di riferimento religioso per gli uomini dell' Argolide, legati alla cultura e alle tradizioni patrie, svolgeva anche una funzione squisitamente politica, perché testimoniava, con la sua maestosa grandezza e il suo splendore, la presa di possesso del territorio ed esprimeva altresì un messaggio, diretto soprattutto alle popolazioni residenti sull'altra riva del Sele (gli Ausoni o Etruschi campani), circa l' invalicabilità di quel confine posto sotto la protezione divina.
I Greci, infatti, erano soliti edificare santuari o creare luoghi sacri lungo i confini del loro territorio, quasi a presidio degli stessi. In tale ottica vanno anche riguardati, oltre all' Heraion di Foce Sele, quelli di Santa Venera in Capaccio, di Poseidone Enipeo in Agropoli, di Punta Tresino, quelli di Fonte e di Tempalta in Roccadaspide, o altri ancora posti nei punti strategici della kora posidoniate.
Anzi, è stata proprio la scoperta dei Santuari di Fonte e di Tempalta a consentire la precisa ricostruzione della delimitazione della kora, in passato genericamente ritenuta compresa tra i confini naturali rappresentati a Nord dalla riva sinistra del Sele, a Sud da Punta Licosa, ad est dalla riva sinistra del Fiume Calore e dai Monti Alburni, ad Ovest dal mare. Mancava però un dato o un segno certo di confine verso Nord-Est, perché in passato non erano state rinvenute nella zona strutture di sorta, atte a suffragare documentalmente la pregressa, affascinante intuizione.
Ed ecco che nel 1964, nel corso di alcuni lavori idraulici che allora si stavano eseguendo in Roccadaspide presso la sorgente Fonte, sita nell'omonima contrada sulla riva destra del Torrente Cosa, vennero alla luce molte statuette fittili femminili, di antica fattura, innumerevoli frammenti di vasellame vario ed armi.
Fu così effettuato da G. Voza uno scavo accurato che svelò la presenza in loco di un enorme deposito di materiale votivo databile dagli inizi del VI alla fine del III sec. a.C., formato da più strati e sistemato tra due rocce sporgenti.
L'eccezionale quantità degli oggetti rinvenuti nel deposito, la qualità degli stessi -che risultano per la loro tipologia affini a quelli recuperati presso l'Heraion di Foce Sele- hanno indotto gli archeologi a ritenere edificato in Fonte un Santuario minore, simile a quello innalzato sul Sele al momento dell'occupazione della Valle pestana da parte dei Greci.
Il ritrovamento aggiunge un altro tassello alle nostre conoscenze del territorio e della famosa kora posidoniate, che risulta così delimitata verso Nord-Est proprio dal Santuario di Fonte, posto a confine con il territorio collinare occupato dagli Enotri o da altre popolazioni indigene, ricacciati nell' interno dai colonizzatori o ivi stanziatisi nel corso di una delle tante migrazioni avvenute nell' antichità.
Il Tempio, però, del quale non sono state rinvenute le strutture, doveva avere analoga funzione di quelle maggiore del Sele e doveva essere dedicato anch'esso ad Hera, come sembra dimostrare il materiale votivo recuperato. La presenza, poi, di armi di ferro rinvenute nel deposito o nelle tombe esplorate nelle vicinanze, ha indotto gli studiosi ad individuare anche la sfera guerriera del culto praticato nella zona.
La datazione dei reperti, conservati o esposti nel Museo Archeologico di Paestum e i numerosi gruppi di tombe rinvenute nelle vicinanze con interi corredi funerari (nelle località Boccalupo, Tempa Rossa, Tempa Bianca) fa ritenere che la frequentazione del Santuario sia stata sicuramente attiva sino al III sec. a.C.
Particolare interesse ha destato poi lo scavo effettuato a Boccalupo (nella proprietà Marchesano) per la ricchezza dei corredi funerari e della suppellettile di ceramica e di bronzo recuperati, paragonabili solo a pochissimi esemplari delle necropoli di Paestum (Tombe n. 2 e 6 del Gaudo scavate nel 1957).
Del gruppo di sepolture scavate a Tempa Rossa va segnalata quella a camera dipinta contrassegnata dal n. 3, nella quale, oltre all'intera armatura, e emerso un enorme cratere a volute con base mobile, attribuito al grande artista pestano Assteas, decorato con scene riproducenti il giudizio di Paride. Esso, prodotto certamente su commissione, costituisce un esemplare del tutto unico nella produzione ceramica di Paestum, diverso da tutti quelli rientranti nella coeva tradizione locale.
Altra area sacra o luogo di culto, sempre sul medesimo confine e nello stesso Comune di Roccadaspide, ma in zona più interna in direzione di Albanella, fu individuata nel 1984 alla Contrada Tempalta, ove gli scavi non risultano essere stati completati. (100)
Già un'interessante necropoli, emersa dallo sgretolamento di una collinetta formata da marne calcaree stratificate (rûina) - che vengono periodicamente estratte da imprese locali ed usate per la pavimentazione delle strade campestri - aveva fornito un'ampia documentazione circa la presenza di una popolazione indigena (Enotri?) residente nella zona nel periodo immediatamente precedente alla fondazione di Poseidonia. Infatti, molte tombe a fossa riportate alla luce sono riferibili alla seconda metà del sec. VII a.C. e cioè alla vigilia dell'impianto della polis greca. La necropoli risulta essere stata utilizzata sino al IV sec. a.C.
Gli aspetti più significativi sono dati dalla tomba n. 15, risalente alla seconda metà del VII sec. a.C., che conteneva numerosi elementi di ambra, un bacino di bronzo ad orlo perlinato, spiedini di ferro, un’anforetta ed uno scodellone carenato di pregevole fattura. I reperti sono attualmente esposti in una vetrinetta del Museo pestano.
Altra vetrina contiene il corredo della tomba n. 1 del V sec. a.C. e della tomba n. 4, riferibile agli inizi del IV se. a. C. Ma ciò che desta particolare interesse è la ricognizione effettuata in Tempalta dagli archeologi sulla collina che fronteggia l'anzicennata necropoli in seguito alla quale sono state rinvenute tracce di un' antico abitato riferibile al V sec. a.C. Il ritrovamento, unito a quello riguardante diversi fondi di coppe, vari frammenti di Statuette e moltissimi piccoli vasi, lasciano supporre che anche a Tempalta vi era un'altra area sacra a presidio di quel confine. Giasone poi è normalmente presentato dallo stesso Pindaro e da altri Autori o in relazione alla sola impresa della conquista del Vello d'oro o in rapporto al suo tragico destino per colpa di Medea. E' considerato, pertanto, come grande eroe, dalla figura quasi regale e divina da Pindaro nella IV Olimpica e nella III Istmica, nonché nelle Argonautiche di Apollonio Rodio e di Valerio Flacco. Nella Medea di Euripide, invece, appare come uomo quasi mediocre che contrasta con la tragica e possente figura di Medea.
L'Heraion di Foce Sele
Le antiche origini di Fonte, rigogliosa e ridente contrada di Rocca-daspide, sono state in parte rivelate dall'eccezionale scoperta archeologica ivi avvenuta nel 1964 durante l'esecuzione di alcuni lavori idraulici, all'epoca effettuati dal Consorzio di Bonifica di Paestum.
Erano state appena intraprese le opere di ricaptazione della sorgente denominata " La Fonte", posta sulla riva destra del Torrente Cosa, (dalla quale, in effetti, la contrada aveva tratto il nome), allorché vennero alla luce numerosi frammenti di materiale arcaico. Segnalata immediatamente la notizia alla Soprintendenza ai Beni Culturali di Salerno, fu subito disposta ed eseguita un'accurata ricerca, sotto la direzione dell' Ispettore Voza, conclusasi col recupero di una notevole mole di reperti: molte statuine fittili femminili di terracotta riproducenti le sembianze di Hera; un' ingente quantità di frammenti di vasellame vario; monete ed armi antiche.
Gli studi successivi effettuati evidenziarono che si trattava d' un antichissimo e consistente deposito di oggetti votivi, composto da più strati, creato tra due rocce appena sporgenti dal suolo, ciascuno dei quali rivelava l'epoca della sua formazione, risalente il primo alla seconda metà del VII e l'ultimo alla fine del II secolo a.C.
L'eccezionale recupero di reperti (che peraltro erano affini per tipologia a quelli contenuti in una stipe dell'Heraion di Foce Sele) indusse il Voza a ritenere edificato in quel punto un Santuario minore, simile a quello innalzato sul Sele al momento dell'occupazione della Valle pestana da parte dei Greci.
La notizia del ritrovamento fu oggetto di un'interessante comunicazione data nel 1964 al IV Convegno di Studi sulla Magna Grecia dal Soprintendente Mario Napoli il quale illustrò l'importanza della scoperta sia perché si era giunti all'identificazione del Santuario greco, (da lui ritenuto probabilmente sovrapposto ad altro ancora più antico legato al culto delle acque, di origine autoctona) sia perché era stato possibile stabilire con esattezza la datazione dei reperti e precisare che il materiale votivo più antico, compreso un Cratere del V secolo raffigurante gli Argonauti primo strato, era da rapportarsi a un tempo anteriore a quello della stessa fondazione di Poseidonia.
E' appena il caso di sottolineare la rilevanza culturale di quella comunicazione perché con essa si aggiunse un altro tassello alla conoscenza della kora posidoniate, (cioè del territorio circostante la polis, su cui si esercitava l'influenza religiosa, politica, economica e, in genere, culturale dei Greci) già occupata dagli Enotri o da altre popolazioni indigene ricacciate poi nell'interno dai colonizzatori o ivi stanziatesi nel corso di una delle tante migrazioni avvenute nell'antichità. Il Santuario, del quale però non furono ritrovate le strutture, aveva certamente analoga funzione dell'Heraion di Foce Sele e si ritiene che fosse stato anch'esso dedicato a Hera Argiva, come dimostra il copioso materiale votivo ritrovato riproducente l'effigie della dea. La presenza, intanto, di armi di ferro rinvenute nel deposito e nelle numerose tombe esplorate nelle vicinanze, indusse gli studiosi ad individuare anche la sfera guerriera del culto praticato nella zona.
Il Museo Archeologico di Paestum conserva quei reperti ed alcuni esemplari di essi vi sono stati esposti in passato in più bacheche, in una delle quali faceva pure bella mostra di sé un prezioso e bellissimo cratere attribuito ad Assteas, (decorato con scene riproducenti il giudizio di Paride, rinvenuto pure in Roccadaspide nella tomba a camera dipinta n. 3, scavata nella località Tempa Rossa) che costituisce un esemplare del tutto unico nella produzione ceramica di Paestum, perché diverso da tutti quelli rientranti nella coeva tradizione artistica locale.
Della Contrada Fonte, è stato così svelato un aspetto della sua plurisecolare vita, legato ad uno dei miti più affascinanti e complessi, raccolti o elaborati dalla tradizione letteraria classica. Il mito degli
Argonauti, (che, in definitiva, è la narrazione di una delle più imponenti avventure dell'antichità) già descritta nell'Odissea, era talmente vivo in Grecia da indurre Omero a dichiarare che, ai suoi tempi, poteva considerarsi "sulla bocca di tutti".
Trattasi, invero, del racconto della eroica spedizione compiuta da Giasone, (l'intrepido nocchiero che simboleggia anch'egli l'anima avventurosa del popolo greco) il quale, organizzata con l'aiuto di Athena la nave Argo, si sarebbe avventurato sui mari con 55 Argonauti alla ricerca del "Vello d'oro". Secondo quel mito durante la loro lunga peregrinazione gli argonauti toccarono molte isole e varie terre compiendo ovunque imprese ardimentose. Una di queste avrebbe avuto per teatro le coste salernitane, in prossimità della foce del Sele, ove i naviganti erano approdati, perché rapiti dal fascino delle Sirene, ed ove avrebbero edificato l'Heraion, il meraviglioso Tempio dedicato a Hera Argiva, la famosa divinità che ricordava a tutti la dolce e lontana terra natia.
Negli studi del geografo Strabone (V. 4.13) e di Plinio (Naturalis Historia. III, 9, 70) è ripreso il mitico viaggio che in sostanza segnò in terra pestana l'inizio della colonizzazione greca in forma organizzata. Ora quel Tempio era stato innalzato propriamente presso la riva sinistra del Sele, vicino al porto Alburno e a circa 9 chilometri dal luogo ove sarà edificata, poco più tardi, la splendida ed opulenta Poseidonia.
E' bene evidenziare che il luogo sacro non era dedicato ad una qualsiasi delle divinità che popolavano l'Olimpo, ma era posto sotto la protezione di Hera, cioè della "grande dea", ritenuta la "Signora" per eccellenza, la "Regina degli dei", la "prima tra le spose di Zeus", la "protettrice delle nozze, della monogamia, della maternità e della fertilità della natura" (la dea della melagrana) e ancora la "Signora delle armi", ma anche -per quanto ci riguarda- la "protettrice dei confini". L'Heraion, perciò, oltre ad essere luogo di culto e punto di riferimento religioso per gli uomini dell'Argolide, legati alla cultura e alle tradizioni patrie, svolgeva anche una funzione squisitamente politica, perché testimoniava, con sua maestosa grandezza e lo splendore, la presa di possesso del territorio. Con esso si dava, in sostanza, un preciso messaggio alle popolazioni residenti sull'altra riva del Sele (gli Ausoni o Etruschi campani) o a quanti altri fossero eventualmente giunti dal mare, circa l'invalicabilità di quel confine dichiarato ormai sacro.
Ed i Greci, erano soliti innalzare templi e santuari o creare luoghi sacri ai margini dei loro territori, quasi a presidio di questi. Infatti, anche a Metaponto, lontano dalla città, sorgeva un tempio dedicato a Hera ed altro era stato innalzato a Crotone, a circa 9 chilometri dalla città. Ancora a Reggio Calabria il Tempio di Artemide, e a Locri il
Santuario di Persefone, erano entrambi a non poca distanza dalle mura cittadine. Ora proprio la scoperta di questi edifici sacri ha permesso la ricostruzione della delimitazione delle kore. Cosi per la kora posidoniate, (che in passato era stata ritenuta racchiusa tra i confini naturali rappresentati a Nord dalla riva sinistra del Sele, a Sud da Punta Licosa, ad Est dalla riva sinistra del Fiume Calore e dai
Monti Alburni e ad Ovest dal mare) fu possibile precisarne meglio il confine di Nord-Est con la scoperta delle tracce del Santuario di Fonte.
La descritta funzione politica svolta da tutti gli antichi Santuari è attestata, per quello di Fonte, dal ritrovamento, come già detto, anche di armi nell'anzicennato deposito e nelle numerose tombe esplorate nelle vicinanze.
Ma un avvenimento culturale così importante non risulta affatto pubblicizzato ed è, perciò, sconosciuto ai più. Eppure non può negarsi che la scoperta ha fatto riemergere quella contrada dall'oblio, protrattosi per oltre due millenni, e ci ha svelato squarci della sua vita passata, illustre e prestigiosa, con la testimonianza dell'intensa, altissima e ininterrotta frequentazione nel corso dei secoli del locale Santuario, sottolineata dall'abbondanza degli ex voto riemersi da quella ordinata successione stratigrafica.
[Fonte: "L'Heraion di Foce Sele e I Santuari di Fonte e di Tempalta" di Nicola di Dario - I Quaderni de La Favilla - Edizioni La Favilla]