Un tempo lungo il corso del Calore e lungo le sponde dei suoi affluenti erano in funzione numerosi mulini idraulici, scoprirli non è facile, i più risultano nascosti e abbandonati avvolti in una lussureggiante vegetazione. La ragione della loro decadenza, sotto il profilo economico, deriva dalla nascita dei mulini elettrificati, che permettono di lavorare una maggiore quantità di grano.
Invenzione antica, il mulino ad acqua, è tuttavia medioevale dal punto di vista della diffusione. Tutte le testimonianze indicano nel I secolo a. C., come periodo, e l'area dell'oriente mediterraneo come culla dell'invenzione di questa macchina. L'architetto romano Vitruvio nel suo trattato "De Architettura" descrisse il mulino idraulico. La grande disponibilità di energia muscolare e la movimentazione delle pesanti macine a clessidra in cui erano addetti non solo animali, ma soprattutto schiavi, cittadini poveri e delinquenti condannati a questa pena, ritardò la diffusione del mulino ad acqua, che avvenne solo in età carolingia, tra VIII e il IX secolo.
Una descrizione poetica dell'uso del mulino ad acqua ci perviene da Antiprato di Tessalonica, I sec. a. C. che in un suo epigramma scrisse: "Cerere ordina alle Naiadi di fare ciò che facevano le vostre mani: esse obbediscono, si slanciano fino alla sommità di una ruota e fanno girare un asse, l'asse per mezzo dei raggi che lo circondano fa girare con violenza le mole che aziona.... impariamo a raccogliere senza fatica i frutti dei lavori di Demetra..."
Le Naiadi, ninfe delle acque dolci dei fiumi, sostituiscono le mani di donne e schiave nell'arte molitoria. E' in epoca medioevale che si sviluppano le condizioni per lo sfruttamento dell'energia idraulica per macinare i cereali. L'impianto di numerosi mulini idraulici, in periodo medioevale, vedrà protagonisti gli ordini monastici, la nobiltà feudale e la classe dei mercanti.
Fra i diversi monopoli che caratterizzarono il feudalesimo c'era l'esercizio del bandire: diritto del signore feudale a costringere i suoi sottoposti ad usare solo cose di sua proprietà, come mulini frantoi, forni, alle condizioni da lui fissate. Anche a Campora vigeva questa regola ineludibile: solo al feudatario spettava installare dei mulini per la macina dei cereali.
Le cronache medioevali ci raccontano in più di una circostanza delle vere e proprie vertenze per costringere la comunità, sottoposta a non macinare il grano a mano con le mole domestiche, e a servirsi obbligatoriamente del mulino bannale che era a pagamento.
I mulini ad acqua erano posti a cascata lungo i corsi dei fiumi, qui giungevano i contadini con gli asini carichi di grano che dovevano attendere a volte lunghe ore per il loro turno di macina, non era raro che facessero notte nell'attesa che il mugnaio consegnasse loro la farina. Il mugnaio era colui che presiedeva al rito della trasformazione del prezioso cereale in farina, regolando sia la quantità del grano da molire, dipendente dal carico dell'acqua, sia la giusta pressione da dare alle macine per ottenere, in maniera empirica, ma sapiente, la giusta granulosità della farina, che doveva essere nè troppo fine, nè troppo "semulosa".
Il mulino di grano medioevale era un complesso costituito da diversi elementi: un edificio per la macchina, un insieme di uomini, una struttura economica concorrenti alla produzione di un prodotto finale. Lo sviluppo e la diffusione del mulino idraulico a partire dall'XI secolo furono intimamente legati al sistema economico, mentre sul piano tecnico non vennero introdotte innovazioni significative rispetto agli impianti realizzati in età greca e romana.
Altri fattori ne favorirono l'espansione:
cambiamenti nell'agricoltura: importazione e coltivazione di nuove varietà di frumento, che per la trasformazione in farina richiedevano l'uso della macina invece del pastello della pila.
I progressi della metallurgia.
Motivazioni finanziarie: la costruzione di un mulino richiedeva un investimento iniziale oneroso, ma redditizio nel tempo.
La tipologia degli impianti era di due tipi: a ruota orizzontale e a ruota verticale. Quella a ruota orizzontale aveva piccole macine che compivano un'intera rotazione ad ogni giro della ruota idraulica. Per il suo funzionamento aveva quindi bisogno di piccoli volumi di acqua a corrente rapida, caratteristici delle nostre zone. Il basso rendimento della ruota idraulica orizzontale (quindi dell'impianto) lo rendeva inadatto alla produzione di grosse quantità di farina, ma si prestava benissimo alla macinazione dei cereali destinati al consumo delle famiglie contadine, tanto che divenne specifico di una società agricola legata all'autoconsumo come la nostra.
Dal punto di vista della struttura il mulino ad acqua a ruota orizzontale è una macchina semplice e, al tempo stesso, molto efficace: i problemi legati al flusso delle acque che necessariamente doveva essere diretto e regolare, portarono ad utilizzare metodi per incanalare l'acqua e raccoglierla in delle chiuse che consentivano di innalzare il livello della stessa per darle il carico sufficiente per spingere la ruota. L'acqua captata attraverso un canale veniva convogliata e raccolta in una vasca, da questa si riversava in una torre (detta caccavo) e raggiungeva il locale inferiore dell' apparato, dove veniva indirizzata a pressione da una canaletta sulle pale di una ruota orizzontale azionandola.
La ruota orizzontale era costituita da un palo centrale (albero della ruota) nella cui parte inferiore, più grossa erano scolpiti gli incassi, disposti radialmente, destinati ad alloggiare per incastro le pale di legno della ruota. La parte inferiore del palo terminava con un perno in ferro che appoggiava su di un piano. La parte più alta dell'albero raggiungeva il locale superiore dove alloggiava il vero apparato molitorio , costruito da due macine, quella soprana rotante (rotore) su quella che era fissa (statore). L'albero della ruota attraversava la macina inferiore ed era fissato, per mezzo di una nottola in ferro, alla macchina superiore girante. La macina superiore ruotante, opportunamente distanziata da quella fissa, triturava la granaglia che veniva dai sacchi riversata in una tramoggia , e convogliata nel foro centrale della mola soprana. Le macine erano opportunamente scalpellate con incavi disposti a spirale per favorire la fuoriuscita della farina, che veniva raccolta in un accumulatore detto cascia.
Le macine di pietra, pur avendo speciali requisiti di durezza e omogeneità di struttura, richiedevano continui lavori di scalpellamento, con apposite martelline, dei solchi, che il troppo uso levigava. Per rimuovere le macine si usava un argano. Per la captazione dell'acqua a monte del mulino si costruiva una diga, detta palata, per poter molire anche durante il periodo di magra. L'acqua veniva raccolta in una grossa vasca. Lo schema diga-canale, vasca di raccolta, casetta del molino si ripete in tutte le strutture esistenti a Campora.
La diga costruita a monte del mulino, in contrada Scalone, incassata nella roccia, è una costruzione molto ardita per quell'epoca; intatta resiste egregiamente alle furiose piene del torrente Torno.
La diga ad arco è normalmente utilizzata per altezze di sbarramento rilevanti, ed è costruita da una struttura che sfrutta la configurazione ad arco (ovviamente in senso orizzontale) per ridurre le dimensioni dello sbarramento. La configurazione ad arco consente lo scarico delle forze sui vincoli costituti dalle spalle della diga, legate alla roccia su cui esercitano una sollecitazione di pura compressione.
Si ottengono così strutture esili (comunque di qualche metro di spessore) rispetto alle dighe a gravità, che per altezze minori, sono sempre dello spessore di parecchi metri. La tecnologia delle dighe ad arco le rende sempre più sicure dal punto di vista strutturale. Più a valle del mulino Scalone, nella seconda metà del XVI secolo, fu costruito un altro mulino, detto delle grotte, la diga realizzata era del tipo a gravità, e fu travolta dalle piene del Torno, per cui il mulino divenne inagibile e quindi abbandonato.
La forza dirompente dell'acqua con i suoi effetti devastanti, è da sempre al centro delle attenzioni degli "idraulici", che dal tempo dei romani, tentano di edificare delle opere in grado di opporsi efficacemente alle forze dell'acqua. In questo senso la diga del Molino Scalone è un'opera rivoluzionaria per il tipo di struttura, in quanto nella zona non compare l'utilizzo di questa metodologia costruttiva, che si basa sullo schema statico dell'arco e che sfrutta a vantaggio della stabilità della diga la stessa forza ed il peso dell'acqua e dei detriti.
La diga ha un'altezza complessiva di 15 metri ed una larghezza di 2,5 metri all'imposta, circa 7 metri verso la metà e 10 sul ciglio di coronamento. In pianta è costruita con andamento ad arco, la struttura è costituita a corsi regolari orizzontali, posti a secco, di un'altezza di 50 cm., con blocchi ricavati sul posto, regolarmente ricavati a cuneo sui fianchi e spinati sui letti, in modo che le giunture tra blocchi si mostrano larghe di qualche millimetro. I massi impiegati sono stati sagomati a concio, vale a dire in modo che i fianchi fossero tagliati a cuneo verso un centro verticale ed i corsi formassero una specie di piattaforma arcuata orizzontalmente.
Un articolo del Dr. Beniamino Casuccio